Non mi interessa qui dare una definizione di carcinosi peritoneale, quanto cercare di spiegarne il sigificato, soprattutto per quanto riguarda il suo ruolo nell’influenzare il decorso della malattia e la vita di chi ne soffre.

Non condivido del tutto la definizione che la maggior parte dei professionisti dà della carcinosi peritoneale, come diffusione di un tumore dall’organo di origine (in genere ovaio o tubo digerente) alla membrana che riveste la cavità addominale (il peritoneo). Preferisco definirla come la presenza di tumore nella membrana peritoneale (che riveste non solo la cavità addominale ma anche molti dei suoi organi) e nello spazio tra gli organi che questa membrana delimita. Chiarisco meglio perchè è importante ragionare sui termini “presenza” e “spazio tra gli organi addominali”.

Di solito si dice che le cellule tumorali, staccandosi dalla superficie del tumore di origine (ad esempio da un tumore dello stomaco o di un altro organo addominale), diffondano nella cavità addominale come dei semi e si impiantino sulla mebrana peritoneale. Queste cellule crescono poi di dimensioni e formano noduli e placche che possono infiltrare l’intestino, causandone l’occlusione; possono inoltre produrre una notevole quantità di liquido (ascite), che consuma le proteine dell’organismo, gonfia l’addome e schiaccia gli organi addominali compromettendone il funzionamento.

Tutto questo è vero, ma si tratta di una spiegazione riduttiva.

Innanzitutto la carcinosi può nascere direttamente dalla membrana peritoneale, può derivare da un organo dell’addome, o può arrivare al peritoneo anche partendo da un un organo non addominale (ad esempio da un tumore della mammella). Inoltre, la diffusione non avviene solo per insemenzamento, ma può avvenire anche per altre vie, tra cui quella linfatica. Non si tratta quindi semplicemente della diffusione di un tumore primitivo, causata dal distacco di cellule: piuttosto, la presenza della carcinosi indica che, all’interno di un tumore, alcune cellule hanno sviluppato delle capacità nuove, che le rendono particolarmente adatte a colonizzare la superficie interna dell’addome, la membrana attraverso la quale gli organi addominali vengono in contatto tra loro e, soprattutto, lo spazio vitale necessario per la sopravvivenza di questi organi.

I problemi pertanto non si manifestano solo quando i noduli crescono e schiacciano o infiltrano gli organi, o quando chiudono l’intestino. Parlare di noduli di carcinosi, o ridurre il problema all’asportazione o al trattamento di questi noduli, è sicuramente riduttivo. I problemi iniziano molto prima, nel momento stesso in cui lo spazio in cui gli organi addominali vivono (cavità addominale) e le loro vie di comunicazione (la membrana peritoneale e il liquido peritoneale) devono fare i conti con un nuovo inquilino che, in maniera silenziosa e subdola, finirà per colonizzarli. Cerco di spiegarmi meglio con l’esempio seguente, in cui vi invito per un attimo a mettervi nei panni di un organo addominale, per esempio l’intestino, che abita la cavità addominale, la sua città…

“Vi svegliate. Dalla finestra aperta l’aria frizzante del mattino vi porta profumo di fiori e le chiacchiere dei primi passanti.

Vi affacciate. I raggi del sole illuminano i tavoli di un caffè, tra le aiuole ai lati della strada.

Scendete a fare una passeggiata. Camminate in silenzio ascoltando i canti degli uccellini, e i rumori che giungono dalle finestre delle case circostanti, dove alcuni ritardatari si svegliano solo ora.

Arrivate al fiume, e vi stendete sull’erba a pensare, cullati dal suono dell’acqua che scorre”.

Ora riavvolgete il nastro.

“Vi svegliate per il frastuono dei clacson, che vi tormenta nonostante abbiate sbarrato la finestra e abbassato la tapparella.

Aprite per vedere che succede. Tra il fumo e la puzza degli scarichi, una colonna di auto occupa la strada, bloccata da un cassonetto dei rifiuti ribaltato a terra.

Scendete a fare una passeggiata per distrarvi. Il portone è bloccato da due monopattini abbandonati dopo l’uso da qualche maleducato. Poco più avanti, gli escrementi di un cane appena abbandonati. Vi tocca scavalcarli e farvi strada tra un’auto e l’altra.

Arrivate al fiume. Cercate un posto per stendervi sull’erba, ma è occupata dai tavoli del locale all’angolo: si è aggiudicato la concessione dal Comune, e diffonde ad alto volume gli spot di un vicino centro commerciale, impedendovi di pensare e concentrarvi. Nemmeno l’unica panchina è libera, trasformata nel parcheggio del bike-sharing”.

Vi invito a riflettere sul fatto che la carcinosi peritoneale ha due caratteristiche fondamentali in comune con le auto, il rumore, l’inquinamento, i monopattini, la pubblicità, il bike-sharing senza controllo.

La prima è che non si tratta di estranei, ma di prodotti dell’attività umana. Tutti i tumori nascono da mutazioni di cellule normali, si moltiplicano consumando le stesse loro risorse, ma soprattutto ne sfuttano perversamente gli stessi meccanismi di funzionamento, avvantaggiandosi in particolare di quelli più aggressivi (che dire della mancanza di empatia dei parcheggiatori selvaggi…).

La seconda, e forse più importante, è che la loro presenza modifica profondamente la vita degli abitanti della città, le loro abitudini, la loro serenità, fino ad arrivare a comprometterne irrimediabilmente il funzionamento. E tutto questo succede molto prima che lo spazio a disposizione venga occupato completamente, perché sono lo spazio stesso e le relazioni tra gli abitanti che vengono distorti, e modificati in maniera disfunzionale per gli abitanti, ma funzionale per i nuovi ospiti.

Trattare la carcinosi non è semplicemente togliere i noduli o trattare con chemioterapia la cavità addominale. Si tratta di inserirsi nel percorso di cura di una malattia sistemica (che inevitabilmente contempla anche trattamenti diversi, come la chemioterapia endovenosa, la terapia biologica o la radioterapia e, auspicabilmente, anche un percorso di psicoterapia), cercando di intervenire sugli effetti nefasti della presenza del tumore nella cavità addominale. Per risolverli se possibile, o per permettere alla persona che ne soffre di limitarne le conseguenze: conseguenze che spesso incidono pesantemente sulla qualità di vita e quasi inevitabilmente costringono a interrompere il percorso di cura.

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