Durante il 2020, trovandomi a prestare servizio presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo (la provincia italiana più colpita dalla “prima ondata” della Pandemia da SARS-CoV2) e, successivamente, presso l’Ospedale Fatebenefratelli di Milano (la provincia italiana più colpita dalla “seconda ondata”), ho avuto modo di conoscere e assistere molte persone ricoverate per COVID-19.

Nel mio doppio ruolo di Medico delle COVID-Unit e di Chirurgo di Guardia, ho potuto constatare che, al di là delle più note manifestazioni respiratorie, la malattia da SARS-CoV2 comporta spesso un’infezione intestinale che, tra l’altro, può essere presente anche in assenza di segni manifesti di polmonite.

Questa infezione intestinale, che più frequentemente si manifesta con segni aspecifici come diarrea, nausea e crampi addominali, in alcuni casi può complicarsi con sanguinamento, dolore e distensione addominale che si accompagnano a un repentino peggioramento delle condizioni dei pazienti: il peggioramento non si spiega con la sola visita del paziente, dove i segni apprezzabili all’esame clinico dell’addome sono spesso modesti.

Avendo l’abitudine di eseguire personalmente l’ecografia delle anse intestinali quando la sola visita clinica non mi è sufficiente a comprendere cosa sta succedendo nell’addome di un mio paziente, ho iniziato ad eseguirla regolarmente in tutti i malati di COVID-19 che visitavo per sintomatologia addominale.

Quello che ho immediatamente osservato, nei casi che si accompagnavano a sensibile peggioramento clinico, era la presenza di marcato ispessimento delle pareti del colon, che interessava singoli tratti oppure quasi tutta la sua lunghezza, associato alla presenza di ipoecogenicità delle pareti (aspetto più scuro) come si osserva nelle coliti ischemiche (dove l’afflusso di sangue alle pareti è ridotto ed è presente una marcata reazione infiammatoria).

In questi pazienti completavo allora lo studio con una TAC dell’addome con mezzo di contrasto, per integrare i reperti dell’ecografia ed escludere segni microperforativi, in assenza dei quali richiedevo anche la colonscopia. I reperti della colonscopia erano inevitabilmente suggestivi di colite ischemica diffusa o segmentaria, con la presenza di pareti del grosso intestino marcatamente ispessite ed aree livide da emorragia sottomucosa.

Ho pertanto iniziato ad annotare tutte queste osservazioni e a raccoglierne le immagini, per cercare di capire il meccanismo di questo danno intestinale. Confrontandomi con il Patologo, che osservava nei polmoni dei pazienti deceduti per COVID-19 una microtrombosi dei vasi polmonari (con danno più simile a quello dell’embolia polmonare), ho immaginato che la stessa cosa potesse avvenire nelle pareti dell’intestino.

Ho approfondito studiando i meccanismi recettoriali del virus SARS-CoV2 e il ruolo del recettore ACE2 intestinale, e sono giunto a ipotizzare che il rapido aggravarsi delle condizioni cliniche di questi pazienti fosse causato da trombosi con occlusione della circolazione nelle pareti del grosso intestino. Le conseguenze della riduzione del flusso sanguigno all’intestino, a seconda della sua gravità, possono andare dal danno della barriera intestinale con passaggio di batteri e tossine in circolo, all’emorragia acuta intestinale da ulcerazione della mucosa, alla presenza nei casi più gravi di paralisi e marcata distensione del colon, eventualmente associata alla presenza di bolle d’aria nello spessore della parete intestinale.

Questa situazione può complicare una patologia intestinale sottostante: per esempio, nei pazienti con diverticolosi dell’intestino, la trombosi di un diverticolo può portare ad emorragia e perforazione dello stesso, con la formazione di ascessi addominali o l’insorgenza di peritonite che pongono la necessità di intervento chirurgico urgente.

Ho raccolto tutte queste osservazioni ed idee nei due articoli sottostanti.

YouTube
LinkedIn
Share
it_ITItalian